Biografia

Gli Anni Trenta

Il ritorno alla concretezza

Il Depero che nell’ottobre del 1930, dopo due anni di dure battaglie, tornava in Italia non era più lo stesso di prima. L’esperienza americana lo aveva profondamente cambiato, togliendogli quello slancio vitalistico verso il futuro che lo aveva sempre sostenuto. New York, con i suoi alti grattacieli luccicanti, ma anche con i suoi tristi sobborghi fatiscenti; New York, con la sua ricchezza ostentata, ma anche con la sua miseria malcelata, gli aveva mostrato il vero volto del futuro tecnologico che i futuristi italiani avevano sempre sognato. E questo futuro non s’identificava in quella città solare, efficiente e affratellante vista da Sant’Elia, ma in un caotico e brulicante crogiuolo di razze e genti affannate, ansanti, insensibili, diffidenti, violente e spaventate. Non un futuro per il bene dell’uomo ma, forse, la sua prigione tecnologica.

Il Depero che nell’ottobre del 1930, dopo due anni di dure battaglie, tornava in Italia non era più lo stesso di prima. L’esperienza americana lo aveva profondamente cambiato, togliendogli quello slancio vitalistico verso il futuro che lo aveva sempre sostenuto. New York, con i suoi alti grattacieli luccicanti, ma anche con i suoi tristi sobborghi fatiscenti; New York, con la sua ricchezza ostentata, ma anche con la sua miseria malcelata, gli aveva mostrato il vero volto del futuro tecnologico che i futuristi italiani avevano sempre sognato. E questo futuro non s’identificava in quella città solare, efficiente e affratellante vista da Sant’Elia, ma in un caotico e brulicante crogiuolo di razze e genti affannate, ansanti, insensibili, diffidenti, violente e spaventate. Non un futuro per il bene dell’uomo ma, forse, la sua prigione tecnologica.

Tornato quindi tra i suoi monti, nel Trentino, Depero ritrova il contatto con la realtà, con la concretezza, con i valori della terra e della famiglia. Il ritorno alla pittura, all’arte, risente di questo suo stato emozionale, risente inoltre anche della caduta di pulsione creativa dovuta proprio al fatto di aver “verificato” quel futuro tanto vagheggiato per cui, ora, non rimaneva più niente da immaginare, e niente per cui sognare. La sua innata allegria era come raffreddata: e la sua tavolozza, perciò, ne risentiva.  Mentre era in America il suo nome comparve tra i sottoscrittori del manifesto L’Aeropittura futurista: l’aveva incluso, “d’ufficio”, lo stesso Marinetti, in quanto in quel momento Depero, assieme a Prampolini, era la punta di diamante del movimento futurista e i suoi “trionfi americani”, spesso rilanciati dalla stampa nazionale, lo avevano reso molto popolare e non solo tra i futuristi. Per questo motivo, dopo il suo rientro, espose nel 1931 con il gruppo futurista alla I Quadriennale Nazionale d’Arte a Roma, dove Marinetti lo presentò con una certa enfasi appunto come il «trionfo del futurismo in America».

Nello stesso anno pubblica il Numero Unico futurista Campari che si pone come uno dei primi libri di “poesia pubblicitaria”, coadiuvato in questo dallo scrittore Giovanni Gerbino. Negli anni 1931-32 collabora con alcuni articoli a diversi giornali: “La Sera”, di Milano, “Illustrazione Italiana” e “Secolo Illustrato” e quindi alla XVIII Biennale di Venezia del 1932 presenta un nucleo di opere di grande qualità pittorica ma di prevalenti tonalità monocromatiche, fredde, lunari ed estranianti: in ogni modo poco aeropittoriche. Poi, via via, anche le tematiche mutano: dai cavalli al galoppo, dagli automi metropolitani, si passa ai casolari alpestri, a rustici bevitori, a scultorei animali montani. Rallentata moltissimo l’attività di grafico pubblicitario si dà alla scrittura: teoria e prosa.

Tornato quindi tra i suoi monti, nel Trentino, Depero ritrova il contatto con la realtà, con la concretezza, con i valori della terra e della famiglia. Il ritorno alla pittura, all’arte, risente di questo suo stato emozionale, risente inoltre anche della caduta di pulsione creativa dovuta proprio al fatto di aver “verificato” quel futuro tanto vagheggiato per cui, ora, non rimaneva più niente da immaginare, e niente per cui sognare. La sua innata allegria era come raffreddata: e la sua tavolozza, perciò, ne risentiva.  Mentre era in America il suo nome comparve tra i sottoscrittori del manifesto L’Aeropittura futurista: l’aveva incluso, “d’ufficio”, lo stesso Marinetti, in quanto in quel momento Depero, assieme a Prampolini, era la punta di diamante del movimento futurista e i suoi “trionfi americani”, spesso rilanciati dalla stampa nazionale, lo avevano reso molto popolare e non solo tra i futuristi. Per questo motivo, dopo il suo rientro, espose nel 1931 con il gruppo futurista alla I Quadriennale Nazionale d’Arte a Roma, dove Marinetti lo presentò con una certa enfasi appunto come il «trionfo del futurismo in America».

Nello stesso anno pubblica il Numero Unico futurista Campari che si pone come uno dei primi libri di “poesia pubblicitaria”, coadiuvato in questo dallo scrittore Giovanni Gerbino. Negli anni 1931-32 collabora con alcuni articoli a diversi giornali: “La Sera”, di Milano, “Illustrazione Italiana” e “Secolo Illustrato” e quindi alla XVIII Biennale di Venezia del 1932 presenta un nucleo di opere di grande qualità pittorica ma di prevalenti tonalità monocromatiche, fredde, lunari ed estranianti: in ogni modo poco aeropittoriche. Poi, via via, anche le tematiche mutano: dai cavalli al galoppo, dagli automi metropolitani, si passa ai casolari alpestri, a rustici bevitori, a scultorei animali montani. Rallentata moltissimo l’attività di grafico pubblicitario si dà alla scrittura: teoria e prosa.

Pubblica alcuni numeri di una bella rivista, “Dinamo futurista” (1933), compone e pubblica delle Liriche Radiofoniche (1934) che raccoglie una serie di componimenti, per la maggior parte d’ispirazione americana, appunto concepiti per la lettura radiofonica e, infine, annuncia più volte un libro-sonoro sull’esperienza newyorkese, New York Film vissuto, che stila in gran parte ma che però non vedrà mai la luce. Si tratta dell’ultima “onda lunga” dell’esperienza americana, che rimane comunque nella sua memoria di visione per molti anni ancora.

Ormai anche i suoi collegamenti con il Futurismo militante (al quale non smetterà mai di proclamarsi fedele) si fanno sempre più radi. Si ritrova così, suo malgrado, a fungere da “maestro” di tutta una schiera di giovani futuristi veneti che periodicamente “salgono” su a Rovereto per rendergli omaggio: è la cosiddetta “terza generazione”, e gli fa sembrare i suoi inizi futuristi ancora più lontani.

Verso la seconda metà del decennio il suo isolamento dal contesto nazionale si fa sempre più marcato, finché, anche per motivi alimentari (oltre che per ingenua, ma sincera, convinzione) si ritrova a lavorare per corporazioni ed apparati del regime.

Pubblica alcuni numeri di una bella rivista, “Dinamo futurista” (1933), compone e pubblica delle Liriche Radiofoniche (1934) che raccoglie una serie di componimenti, per la maggior parte d’ispirazione americana, appunto concepiti per la lettura radiofonica e, infine, annuncia più volte un libro-sonoro sull’esperienza newyorkese, New York Film vissuto, che stila in gran parte ma che però non vedrà mai la luce. Si tratta dell’ultima “onda lunga” dell’esperienza americana, che rimane comunque nella sua memoria di visione per molti anni ancora.

Ormai anche i suoi collegamenti con il Futurismo militante (al quale non smetterà mai di proclamarsi fedele) si fanno sempre più radi. Si ritrova così, suo malgrado, a fungere da “maestro” di tutta una schiera di giovani futuristi veneti che periodicamente “salgono” su a Rovereto per rendergli omaggio: è la cosiddetta “terza generazione”, e gli fa sembrare i suoi inizi futuristi ancora più lontani.

Verso la seconda metà del decennio il suo isolamento dal contesto nazionale si fa sempre più marcato, finché, anche per motivi alimentari (oltre che per ingenua, ma sincera, convinzione) si ritrova a lavorare per corporazioni ed apparati del regime.

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